Era il marzo del 2011, vivevo ancora a Roma, ascoltavo e suonavo l’HC in tutte le sue declinazioni, giravo per concerti con i volumi a stecca e le chitarre distorte. È un genere che mi ha sempre gasato per la sua carica emotiva, oltre alla forza con cui ti dice di affrontare la vita, con energia e umiltà.
Facevo radio già da un paio d’anni, saltando da un web-radio all’altra per arricchirmi di esperienze; divoravo ore e ore di musica alla ricerca delle novità, soprattutto in territorio italiano. L’aver vissuto l’Hardcore mi aveva fatto scoprire – io un convinto ascoltatore di musica anglofona – un mondo musicale italiano straordinario, sconfinato e in continua mutazione ed evoluzione.
Nei primi 2000 Roma viveva ancora della luce riflessa degli anni 90, periodo storico durante il quale la Capitale aveva vissuto intense stagioni di musica di ogni tipo, diventando anche culla di scene musicali che avrebbero fatto la storia.

Intorno al 2009 le cose iniziarono a cambiare e il mutamento si stava facendo già sentire. Da una parte, l’insediamento della giunta Alemanno portò con sé un periodo di oscurantismo culturale di una certa intensità, insieme ad una gestione della città abbastanza approssimativa e poco improntata al benessere della collettività; dall’altra, il desiderio di Pop, spesso molto scialbo, del benessere in contrasto al decadimento cittadino, di voler cantare con facilità e un po’ di superficialità le emozioni, l’arrivo impetuoso dei social network e la necessità di apparire, portò alla nascita di una infinita sequela di cantautori, duo synth e voce, boy band con gli strumenti che a contarli non basterebbe una settimana.

Quella che era la città in cui mi riconoscevo musicalmente e culturalmente, sotto tanti punti di vista, stava assumendo un’altra faccia più “borghese e fighetta”, per niente attenta all’essere una collettività ma incentrata sul singolo, sul mito del timido artista con solo una chitarra e un microfono a cantare paturnie e situazioni magari spesso mai vissute, fintamente romantico e bohémien. Una situazione che, purtroppo, si stava estendendo a tutto il territorio nazionale e che mi portò a volgere nuovamente lo sguardo all’estero alla ricerca di stimoli personali e radiofonici.

Il Circolo degli Artisti – anche molto vicino la mia abitazione capitolina – era il locale per eccellenza dei concerti dal respiro internazionale, dal quale passavano anche gli artisti poco prima di “esplodere” (vidi un live infuocato di Salmo qualche anno precedente al primo grande salto), in cui trovavi tutti i generi musicali, artisti da ogni parte del mondo. Quello che in quel momento era artisticamente forte passava da lì, senza dimenticare coloro i quali erano già parte della storia musicale internazionale. Era, insomma, l’isola felice contro quello che sarebbe accaduto da lì a poco e che avrebbe cambiato e, in gran parte, ucciso una certa parte del mercato musicale italiano.
Sotto consiglio dell’amico fratello e bassista della band feci la conoscenza dei Calibro 35 arrivarono che spianarono una nuova strada nell’evoluzione dei miei ascolti musicali.

Una band che tra jazz, funk, rock, orchestrazioni, psichedelia – senza l’uso di voce ma con i soli strumenti – alla fine di quel memorabile concerto al Circolo degli Artisti nel marzo 2011 mi fece dire: “ne voglio ancora”.
Ed in effetti fu così, perché ancora oggi seguo questa band, vedo i loro concerti, compro i loro dischi e, quando posso, li intervisto.

Lunedì 10 febbraio intervista ai Calibro 35 per il nuovo disco “Momentum”.
Sempre in diretta fm e streaming su Radio CRT, dalle 22:00 alle 24:00

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