Qui al Sud è iniziato a piovere il 4 aprile e se il detto “4 aprilante, giorni quaranta” dovesse essere infallibile, per i prossimi quaranta giorni avremo la pioggia; e già a guardare il meteo della prossima settimana, la paura che il detto sia scientificamente fondato è alta.

È una domenica tipicamente invernale: fuori è grigio, il banco di nebbia sopra i miei occhi non fa vedere le montagne che solitamente scruto ogni mattina dalla finestra della mia cucina, la pioggia è in modalità Londra e si avverte quel senso di isolamento da letargo.

Proprio dall’isolamento parte il “buon inverno” di Justin Vernon, che si distanzia dal francese di una “H” per diventare Bon Iver, più americano, più montagne del Wisconsin, tanto da essere erroneamente pronunciato come “Bon Aiver”.

22, A Million è il suo quarto e, per ora, ultimo disco, uscito nel 2016 in un momento di totale grazie mediatica e artistica per l’artista. La mia visione viziata dell’epoca nei confronti di alcuni artisti considerati “hipster”, e per vicissitudini personali – quell’anno è stato talmente movimentato per me che ne avevo già parlato qui – mi portò a schifare letteralmente certe elucubrazioni musicali da parte dei fan stessi, così vicini alle dinamiche di pensiero di una certa cultura politica da farmele risultare stucchevoli e autoreferenziali (scrivo per far vedere quanto sono bravo a scrivere, non perché apprezzo e amo quello di cui sto scrivendo); e poi certe volte sono anche un po’ snob, quindi sommando il tutto, il rapporto non fu dei migliori.

—- Stacco come nei film —-

Siamo nel 2017, mi sono sganciato da certe dinamiche di pensiero e Bon Iver è sempre lì, che mi chiama con voce nostalgica, perché in fondo all’epoca lo avevo ascoltato (faccio così per gli artisti che non mi piacciono, perché devo essere conscio dei motivi tramite i quali non apprezzo un determinato artista) e nella testa certe ambientazioni da lui disegnate mi erano rimaste, e poi il fattore nostalgico cominciava a rincarare la dose. Il passo successivo fu di immergersi completamente in 22 A Million, assaporarlo, leggerlo perché pieno di simbologia, significati e punti oscuri da farne scrivere in tutte le lingue per raccontare un’opera discografica importante; suonarlo, mandarlo in radio, nei dj set, parlarne e alla fine desiderare la sua copia fisica.

In questa domenica di buon inverno di primavera ho ricevuto in regalo la sua versione in vinile, che per tanto tempo ho bramato, e l’ho messo subito sul piatto. Sono circa tre ore che sto continuando ad ascoltarlo. E no, non vi parlerò del disco perché sarebbe troppo facile, ora vi tocca ascoltarlo da soli.

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