“Al terzo ascolto è un’altra cosa”: Willie Peyote – La sindrome di Tôret

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foto da "La scimmia pensa" https://www.lascimmiapensa.com/2017/10/19/la-liberta-despressione-per-willie-peyote-recensione-sindrome-di-toret/

“Al terzo ascolto è un’altra cosa” racconta i dischi che al terzo ascolto ti fanno vedere il mondo in maniera diversa.
Però attenti che diventate ciechi.

Lanciare rubriche su “carta” non è tanto il mio forte, mi faccio prendere dall’entusiasmo ma poi mi frega la mancanza di costanza.
Ma, d’altra parte, questo blog non è una testata giornalistica che ha necessità di periodicità e se non scrivo con trasporto, è inutile scrivere di qualcosa, perché si perderebbe lo scopo ultimo di questo blog: diffondere la passione per la musica.

Willie Peyote è di Torino, nasce nel 1985 e al suo terzo disco “Sindome di Tôret” viene consacrato nell’Olimpo degli Dei dell’Indie italiano, come paroliere intellettuale dalla penna incisiva.
E allora, perché ci ho messo un po’ a farmi piacere questo disco? Perché la comunicazione è difficile e ciò che scrive la stampa su un argomento qualsiasi non arriva a tutti allo stesso modo; i primi tempi gli articoli smielati dedicati all’artista mi avevano fatto ascoltare sporadicamente qualche brano mentre, con il naso all’insù, lo bollavo come l’ennesimo prodotto indie italiano pompato eccessivamente. 

Non ricordo se l’aggettivo “paroliere” l’abbia dato io oppure qualche giornalista ma tant’è, questa sua caratteristica rappresenta il pregio e il difetto: il flusso di coscienza che viene liberato su carta ad ogni brano regala un’infinità di ispirazioni e stimoli mentali, che però può provocare claustrofobia se si viene investiti in un momento non corretto.

“Sarà pure bravo ma, per dire, io so’ giovane, ho 27 anni e ‘ste cose troppo politicizzate me annojano. Io c’ho voglia de senti’ cose tranquille, no roba troppo impegnata nel rap, canta’ de pischelle, di cose così. 

Proprio questa frase uscita dalla bocca di un misterioso e famoso cantante dell’indie italiano mi ha fatto pensare che forse fino ad all’ora ero stato troppo rigido con me stesso, che avrei dovuto dare un’altra possibilità all’artista controverso e lasciare da parte le considerazioni filtrate attraverso gli articoli di stampa.
Non ha sicuramente quel flow stradaiolo da East Coast che mi spacca la testa in quattro, ma il suo incedere molto morbido vocalmente si scontra con una lingua così avvelenata da far passare in secondo piano il suo approccio troppo aristocratico alle melodie.

[…] Semo sette cazzo de miliardi de persone, non ce ne frega un cazzo de te. Quello che fai tu non conta un pezzo di cazzo. Niente. Sette miliardi. E statte sciolto[…]

Nel disco compare anche un estratto di uno spettacolo di Giorgio Montanini, uno dei comici più autentici, intelligenti e politicamente scorretti che abbia mai conosciuto, e per questo lo adoro.
Averlo trovato all’interno di questo lavoro dell’autore sabaudo mi ha aiutato a comprendere ancora di più la sua anima e di questo disco, in cui non ci sono sconti per nessuno.

Insomma, la batteria, il basso eccetera, un ritmo funk costante e un groove pazzesco, questo è l’ultimo disco di Wille Peyote. Un disco politicamente molto forte che si trova ad essere fondamentale in questo periodo in cui l’arte deve ritornare ad essere veicolo di trasmissione sociale, contrasto all’imbarbarimento di questo società e risveglio delle coscienze culturali per scongiurare un futuro dispotico.

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