The Lemon Twigs, gli Electric Light Orchestra e il 2016

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Correva l’anno 2016, anno pieno per me di soddisfazioni lavorative e non solo, un anno di transizione come tutti gli anni dal numero pari che si sono susseguiti dal 2012 ad oggi; in fondo neanche troppi ma che sono sempre risultati anni epifanici per la mia vita, di cui però non vi racconterò niente esistendo, ancora, una linea di demarcazione per me molto visibile tra il privato e il pubblico.

Il 14 ottobre del 2016, sotto 4AD, uscì il secondo disco degli americani The Lemon Twigs intitolato Do Hollywood e anche quello che li fece conoscere al grande pubblico; per precisazione, i due fratelli D’Addario (il cui cognome è inequivocabilmente di origini italiane e, nello specifico, nella zona tra la Puglia e l’Abruzzo), due spilungoni dall’abbigliamento da Famiglia Brady e l’atteggiamento strafottente dei “teppisti” che hanno invaso le piscine della California con i loro skateboard negli anni 70, vengono da Long Island, New York, un gran bel posto dallo spirito tipicamente marittimo ma che è più rude delle spiagge californiane: e poi i due hanno 19 e 17 anni, sono sotto 4AD al loro secondo disco e registrano tutto in casa, se non sono strafottenti loro.
Lo spirito da pubblicità della Durex del singolo d’esordio These Words fece di me il loro completo servo, schiacciato da quell’atmosfera prog e glam (generi che odio nel 95% dei casi) spezzata ad intervalli regolari dall’edulcorato ritornello scritto sicuramente dalle anime di Simon & Garfunkel:

These words, these words, mean nothing to my soul. These words, these words, serve only to fill up a hole.

Fiati, archi, organi, cori quasi gospel, un tripudio di biancume e “hallelujah” quasi da dare fastidio ma di una potenza evocativa come pochi brani negli ultimi anni di bulimia musicale.
Erano solo due anni scarsi che avevo iniziato la mia “carriera” di miscelatore musicale (i dj sono altri, non io) nei locali della mia zona e il desiderio di voler stupire la pista da ballo con brani che sembrava non c’entrassero un cazzo con tutto il resto ma così accattivanti da farti muovere lo stesso era abbastanza alto.

Qualche mese dopo, era il 2017 e durante la lettura di “My Tunes“, rubrica su Rumore a cura di Maurizio Blatto che racconta con sagace umorismo e precisione chirurgica le sue esperienze di vita legate alla musica – a proposito, se vi trovate a Torino, non mancate di andare a fare visita ad uno degli ultimi avamposti in cui i dischi fisici hanno ancora un’importanza fondamentale nella crescita umana, il Backdoor in via Pinelli, 45 – fui colpito dal racconto in cui si parlava proprio di una sua esperienza da dj ad una festa abbastanza sfigata (leggete qui) e in cui riuscì a sfangarla mettendo diverse volte di fila lo stesso brano: Shine a little love degli Electric Light Orchestra dal disco Discovery.
Li avevo conosciuti gli ELO grazie a Radio Flo (la web radio in cui ho militato diversi anni con Alberone Party Program ) ma non li avevo mai approfonditi a tal punto da rimanerne così colpito, nonostante anche qui ci sia un minestrone di prog e glam sostenuti, però, da piacioni e irriverenti giri funk di basso che accendono immediatamente la palla a specchi che ognuno ha dentro di sé; senza dimenticare i coretti gosepl, falsetti, archi, organi e biancume ovunque.

L’anno 2016 fu veramente un anno particolare per me e di grande insegnamento sotto tanti punti di vista, fu anche l’anno dei miei primi baffi alla veneranda età di 32 anni e forse furono loro a tirare fuori un pizzico di spirito glam e farmi apprezzare questi due dischi.
L’ultimo disco a marchio Electric Light Orchestra è del 2015, Alone in the universe, sotto però la guida unica di Jeff Lynne, mentre il nuovo disco a cura The Lemon Twigs , Go To School, uscirà il 24 agosto con due singoli già pubblicati che potete ascoltare dal loro canale youtube.

Gli Electric Light Orchestra, così come The Lemon Twigs, si amano o si odiano e io, complici forse anche i baffi, li amo entrambi dal 2016.

 

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