“Al terzo ascolto è un’altra cosa”: Motta – Vivere o morire

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Pensavo sarebbe finito tutto già dopo il primo disco raccontato e invece sono ancora qui.
Si chiama “Al terzo ascolto è un’altra cosa” e racconta i dischi che al terzo ascolto ti fanno vedere il mondo in maniera diversa.
Però attenti che diventate ciechi.

 

Popolare, cupo, personale, autorale. È inutile che dite di no ma Francesco Motta è un autore e, speriamo in Dio o chi per lui, farà parte del nostro passato che canteremo ai nipoti mentre ci guarderanno straniti con un po’ di compassione ma comunque con amore.
Erano giorni che puntualmente, e senza neanche accorgermene, in macchina mi ritrovavo ad ascoltare il primo disco di Motta “La fine dei vent’anni”; l’ho anche odiato un pochino perché stava iniziando ad essere una persecuzione considerando che nella pennetta usb metto sempre una quindicina di dischi (molti ce li ho in vinile o cd, è inutile che ci provate, la musica la compro su supporto fisico per quanto possibile).

Ho iniziato a capire il perché di questa quasi persecuzione dopo l’ennesima volta in cui ho gridato: “ancora Motta?! Ma io stavo ascoltando i 3Tons!” – per dovere di cronaca, l’elenco dei dischi nella mia pennetta usb è in ordine alfabetico e tra i 3tons e Motta ci sono diversi dischi e no, non c’è l’impostazione di scelta casuale.

Il secondo disco di Motta, quello difficile perché il secondo, l’avevo ascoltato a pezzi, neanche per intero, tra passaggi in radio e ascolti distratti su youtube e l’avevo bollato come prodotto pop da airplay radiofonico; per questo motivo la Dea della musica mi ha punito per un mesetto, proponendomi il primo disco in ogni momento della giornata, contro la mia volontà.
In realtà, è un album molto intimo in cui Motta si mette veramente a nudo e mette a nudo anche la musica, evitando la produzione piena di orpelli del primo nervoso lavoro. Ci sono brani che quasi ti fanno strappare fazzoletti e tirare giù lacrimoni senza sosta come le migliori massaie davanti al finale di Topazio (questa è una chicca anni 80).
Non so se è un album che mi piacerà fino in fondo, quanto lo ascolterò e quante altre volte cambierò opinione ma è certo sia un disco fortemente emotivo, ridotto dagli inni generazionali del lavoro precedente e dall’urgenza di gridare la propria posizione nella società identificandosi in altri mille trentenni come lui.

Billy Corgan, se mi stai leggendo sappi che Francesco è riuscito a fare quello che tu stai cercando di replicare da anni dopo Mellon Collie.

 

P.s. ma dite che al terzo disco ci ritroveremo ancora la sua facciona in copertina? Non di Billy Corgan, spero.

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