Perché Things Fall Apart dei Roots mi ha cambiato la vita

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Ieri ho avuto una giornata parecchio piena e in mezzo alle diverse cose fatte c’è stato anche il momento in cui ho dovuto intercettare un pacco in giro per la città. Dentro conteneva “Things Fall Apart”, disco a firma The Roots uscito nel 1999. Ce l’avevo già negli altri due formati ma sentivo il bisogno di averlo anche in vinile; è una cosa che faccio per la prima volta.
Per loro è stato diverso e non nascondo di aver deciso di prenderlo anche in vinile dopo tanto tempo di attenta ponderazione, cosa che faccio spesso per tantissime cose.
Dopo averlo finalmente preso, ho passato il resto della giornata in attesa di poter tornare a casa la sera per poterlo scartare, mettere sul piatto e ascoltarlo (qualunque fosse stata l’ora del mio rientro).

Mi sono imbattuto per la prima volta in questo disco proprio nel 1999 ma all’epoca ignoravo totalmente l’anno di uscita, la provenienza della band e tutto il resto. Era l’estate di quell’anno, ero in vacanza tra le montagne sperdute della Svizzera e avevo portato con me qualche cassetta da poterle ascoltare in macchina e con il walkman. All’epoca ancora i cellulari erano cellulari e non smartphone, facevi al massimo telefonate (con molta parsimonia) e scrivevi sms quando avevi tariffe promo per poterli mandare a raffica a costo zero. Fin da bambino uno dei modi per me di isolarmi, quando la situazione mi annoiava o non era importante la mia presenza, era di infilarmi in macchina e tirare a cannone il volume per sentire tutto il sentibile.
Mi arrivò questo album in cassetta da qualche amico più grande, credo, che ascoltava tanto Rap e io ero nella fase di scoperta del genere: vestivo largo, andavo a fare i miei primi tremendi murales in giro (non lo dite a mamma e papà) e impazzivo per il beatboxing, tecnica che timidamente cercavo di imparare. Fu quel pomeriggio di fresco agosto (sapete, tra le montagne della Svizzera già a fine agosto iniziano ad allungharsi le maniche), mentre tutti erano in casa a chiacchierare, che decisi di mettermi in macchina e ascoltare questo disco il cui nome già mi raccontava qualcosa di forte.

Mi misi a scrivere qualche sms, in barba alle tariffe anche perché ero fuori confini nazionali, mentre lentamente entravo in questo mondo fatto di beat incalzanti, suoni pulsanti e vellutati allo stesso tempo, contrabbassi jazzati, flow diretto e pungente. Immaginavo i Roots in queste stanze tutte scure, piene di tende pesanti; li vedevo avvicendarsi ai microfoni a cantare le loro parti, vedevo la loro crew dietro il vetro a seguire l’andamento e ad andare su e giù con la testa, chiacchierare tra di loro e pensavo a quanta magia si stesse sprigionando proprio davanti a me, nonostante fosse confinata su delle bobine che sarebbero diventate nastri magnetici riprodotti dentro una normale auto. Ero lì con loro, scrivevo le rime e poi dicevo le mie strofe, scratchavo sui piatti, muovevo i fader del mixer, facevo qualche beat con la bocca e pensavo a quanto fosse incredibile quello che stavo ascoltando.

A distanza di quasi 22 anni (il disco uscì il 23 febbraio del 1999) mi ritrovo nella mia casa, sul divano, il disco sul piatto e rivivo le stesse identiche sensazioni, sono di nuovo lì con loro a fare tutte le cose che feci all’epoca e che ho rifatto ad ogni ascolto da lì in poi.
Things Fall Apart mi ha fatto conoscere il Rap, sì, ma mi ha fatto capire quanto fosse forte il concetto di comunità, di gruppo, dello stare insieme per creare arte, per raccontare la vita attraverso delle rime poggiate su degli strumenti, per fare fronte comune ai problemi, alle ingiustizie sociali, alla vita che ognuno di noi combatte con le armi che ha.
E mentre scrivo queste due righe penso a quanto la musica abbia la capacità di spostare la visione d’insieme che fino all’ascolto di quel disco pensavi fosse ferma in un luogo, nella tua sicurezza delle convinzioni sedimentate dalla poca esperienza che hai, perché è banale da dire ma veramente non si finisce mai di imparare e ancora una volta mi rendo conto quanto questo disco sia in grado di darmi ad ogni ascolto. Non è una questione di nostalgia dei tempi passati, è consapevolezza di avere davanti un vero capolavoro della musica.

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