Al TAU di Cosenza, a casa di Manuel Agnelli

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Sono cresciuto negli anni ’90, in una decade in cui ad un certo punto tutto sembrava possibile: il muro di Berlino era crollato, l’operazione “mani pulite” era entrata fin dentro le maglie più strette della politica per tirare fuori la verità e gli imbroglioni, il dibattito sul cambiamento climatico e su un comportamento più ecosostenibile aveva preso fortemente piede, la politica dei No Global contro la prepotenza delle multinazionali e il rock era entrato prepotentemente in classifica; sembrava che avessimo ragione noi, che veramente il mondo sarebbe cambiato.

Ho voluto prendere – in parte – in prestito le parole che Manuel Agnelli ha pronunciato ieri ad un certo punto del suo spettacolo, per presentare il brano dei Nirvana che da lì a poco avrebbe suonato, accompagnato da una chitarra acustica aggressiva e il violino distorto di Rodrigo D’Erasmo; perché mi hanno toccato molto, perché era tutto vero e il mio pensiero all’epoca era esattamente quello: abbiamo avuto ragione noi.
Alla fine, poi, non abbiamo avuto ragione noi – come lo stesso Agnelli ha affermato – ma in quel preciso istante, ieri sera, ho rivissuto l’idea di una energia vitale che avevo dimenticato, trasportato anch’io, in parte, dalle correnti di questi cambiamenti musicali e sociali in cui non mi ritrovo granché, e per i quali nutro un certo imbarazzo, perché oggi è così e domani chissà, altre stories altra corsa.

Ieri sera sono stato a “casa” di Manuel Agnelli, al Teatro Auditorium Unical di Cosenza: una porzione di mondo Agnelli trasferita in un teatro tra lampade, divani, tappeti, giradischi e una trentina di strumenti musicali sparsi per il palco e utilizzati volta per volta, in un continuo cambio di postazione e posizione che Agnelli e D’Erasmo attuavano ciclicamente.

Dopo una introduzione agli Afterhours da parte dell’Orchestra del Conservatorio S. Giacomantonio di Cosenza, le luci si abbassano e partono alcune delle canzoni di Let Them Eat Chaos della mia amata Kate Tempest (scelta, ho scoperto dopo, da Rodrigo). Un intermezzo bello lungo (circa dieci minuti) che fa spazientire un po’ il pubblico, volutamente, per creare quella tensione positiva da sprigionare poi durante tutto il percorso musicale che Agnelli ci mostra tra storie di vita vissuta, brani degli Afterhours e di artisti e band responsabili di aver contribuito al loro sound, di Manuel e alla crescita musicale e personale tutta.

Uno spettacolo di quasi due ore e mezza che mi ha incantato, sorpreso, fatto sorridere (la verve da stand up comedy di Agnelli denota ancora di più, qualora ce ne fosse stato bisogno, l’intelligenza e la sensibilità di un artista come lui), pensare, ricordare e anche rimpiangere quei sogni e speranze forse un po’ assopiti o semplicemente spezzati ma ancora riparabili.

Noi italiani siamo sempre stati tutti un po’ tifosi e ogni decade ha avuto i suoi “Rolling Stones e Beatles” per cui tifare: negli anni 90 noi giovani adolescenti che ascoltavamo la musica rock alternativa italiana, che non andavamo in discoteca, ci vestivamo in maniera strana, che credevamo in qualcosa e avevamo una coscienza sociale forte e ben radicata, scadevamo comunque nei cliché da tifoseria e c’erano quelli che amavano gli Afterhours o i Marlene Kuntz.
Io sono sempre stato un folle amante dei Marlene Kuntz ma ringrazio i miei amici che mi fecero venire quasi a noia gli Afterhours, perché ieri sera ho assistito ad uno spettacolo magnifico con la consapevolezza di avere di fronte una parte della storia della musica italiana e, per fortuna, anche il nostro presente e futuro.

Grazie al TAU, Color Fest, Ester Apa, ai miei soci di Spaghetti Sunday (me ne frego dei conflitti d’interessi, per una volta) e a tutti coloro che hanno lavorato nell’ombra per portare in Calabria uno spettacolo unico e intenso.

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