“Parlare di musica è come ballare di architettura” scriveva qualcuno. Una frase usata fino all’inverosimile e anche spesso fuori contesto attribuendola a chiunque, giusto per darsi un tono con l’ambiente circostante (per restare in tema), ma che personalmente non mi ha mai fatto impazzire. Forse proprio per quella sovraesposizione e ripetizione ad libitum che fa perdere spesso poi fascino alle cose. Provate a dire una parola, una qualunque, talmente tante volte (e magari usandola a caso) da svuotarla di ogni significato ed effetto. Ecco, ora sapete come mi sento io quando qualcosa è trattata, considerata, usata fino a non poterne più.

Un tappeto e una storia

Nel corso dei miei anni radiofonici attraverso i diversi format condotti (metto due link a caso di due vecchissime puntate) ho sempre dato spazio con un certa cadenza a momenti in cui poter usare i dischi, la musica, per potercisi stendere sopra, chiudere gli occhi e fluttuare: esattamente come fa Drugo nel film Il Grande Lebowski. Nella pellicola il tappeto diventa punto centrale per sviluppare tutta la surreale storia, così com’è surreale – ma neanche troppo – la vita stessa del protagonista interpretato da un Jeff Bridges stellare, come tutto il cast.

La musica che dà un tono all’ambiente

Una frase che vuole giocare su due piani intrecciati. Da una parte la musica che dà un tono, intendendolo in senso strettamente musicale. Dall’altra il tono come capacità della musica di determinare il colore dell’ambiente in cui si espande. Vi sarà sicuramente successo di trovarvi in un bel luogo ma con musica non adatta, o viceversa, ma tanti sono i contesti in cui è un mezzo fondamentale. Da questo concetto di base è stata sviluppata tutta la ventisettesima puntata.

I dischi in scaletta e altre storie

L’incipit dato dagli Arctic Monkeys con I Bet You Look Good on the Dancefloor, poi nella versione più Northern Soul di Baby Charles, è il primo esempio di come una stessa canzone possa essere collocata in contesti diversi grazie a sue diverse interpretazioni. In questo caso l’intenzione della versione originale, tirata, sporca, quasi ansiogena che racconta la disinibizione della discoteca, si trasforma in qualcosa di diverso con la cover.
Dal Soul di Baby Charles al racconto cinematico dei Whatitdo Archive Group, dall’amore per le proprie radici di Dave Okumu nel ricordo della lotta dei suoi antenati, alle lotte di oggi cantate da Joan As Police Woman che in Take me to your leader si rivolge all’ex Primo Ministro della Nuova Zelanda Jacinda Ardern.
Ci sono anche l’esilio a Palermo di Maarten Devoldere (co-fondatore dei Balthazar) in una camera d’albergo per raccontare di un amore finito nel disco Ah Ah Heartbreak del suo progetto Warhaus; la rilettura di brani meno celebri di David Bowie in I’m Deranged di Stella Burns; i canti folk tradizionali rivisti e rielaborati dai Lankum. Non solo questo ma tanto altro.

Buon ascolto.

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