Faccio parte di quei circa 35 milioni di persone che ascoltano la radio, senza considerare alcuni dati che non possono essere presi, come gli ascolti delle radio locali e gli “altra radio” o “non ricorda” (anche se il censimento è su una porzione di popolazione, attraverso le telefonate).

Insomma, sono una persona che cerca di fare radio perché innanzitutto la ascolta e praticamente da sempre, affascinato da quella compressione delle voci che le rendono tutte pastose e vibranti.

Non toccatemi la colazione in casa con la radio accesa, è un rito necessario.

In più, faccio anche una cosa che è molto anni 80: svegliarmi con la radiosveglia, quell’aggeggio che è a metà tra una, ormai, figura mitologica e un oggetto del demonio, perché contiene l’orologio digitale e la radio con la manopola per sintonizzarsi, quindi un sistema analogico. L’incontro tra il vecchio e il nuovo che fa sempre figo, per la serie: “sto al passo con i tempi ma guardo al passato”; praticamente un hipster (no, non mi sto definendo tale, per carità!).

Questa mattina, come quasi tutte le mattine, ho acceso la radio sintonizzata su un programma di informazione mattutina, perché sto diventando vecchio, mi piace svegliarmi con qualcuno che mi racconti cosa c’è nel mondo e, soprattutto, faccia interviste all’alba a persone che il più delle volte rispondono con la bocca impastata ma cercando di mantenere un tono autorevole in relazione all’argomento trattato. È tutto molto divertente ma allo stesso tempo educativo: imparo giocando, praticamente, come i bimbi.
Insomma, ho acceso la radio e ho aperto il nuovo numero di Tag Magazine, rivista cartacea locale per la quale scrivo anche (sì, sto facendo pubblicità). 

Tra l’editoriale di Tag e l’argomento che si stava trattando in quel momento in radio, mi sono ritrovato ad affrontare uno dei temi più scottanti di questi ultimi tempi: l’affossamento culturale di questa società, l’individualismo imperante, l’impoverimento sociale e la costante ed eccessiva esposizione mediatica di ognuno di noi, il decadimento del concetto di istituzione come la conoscevamo.
Non sono mai stato una persona interessata alla politica intesa come identificazione nei partiti, ma negli ultimi due anni la mia attenzione si è sviluppata esponenzialmente in relazione ad un tangibile e forte cambio nelle dinamiche sociali e culturali del nostro Paese, che ha investito anche la politica intesa come funzionale alla comunità.

Da una parte, nell’editoriale di Tag Magazine, si concentrava l’attenzione sull’andamento odierno dell’avere un’opinione su tutto e con “dati alla mano”, pur ignorando poi la vera conoscenza come bagagliaio culturale medio che ognuno di noi dovrebbe avere (andate a trovare, per esempio, i sondaggi relativi alla conoscenza anche solo della nostra geografia); dall’altra, in radio, lo psichiatra Andreoli parlava dell’homo stupidus stupidus, come conseguenza del processo di involuzione dell’uomo che da Sapiens Sapiens si sta trovando in una condizione in cui gli istinti primari primeggiano, facendosi spazio tra quel fattore che dovrebbe distinguerci dagli animali: la razionalità.

Ho finito di fare la mia colazione, ho chiuso Tag Magazine, spento la radio e messo su l’ultimo disco dei Delta Sleep “Ghost City” (sarà un caso? Io no creto)

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